Dal 12 al 17 marzo 2024 al Teatro Menotti di Milano: “60 anni di Odin Teatret” con la Compagnia di Holstebro
60 ANNI DI
ODIN TEATRET
12-17 marzo
Il Teatro Menotti ospiterà in residenza la straordinaria Compagnia di Holstebro, guidata dal visionario maestro Eugenio Barba. Per sei giorni il teatro sarà occupato da workshop, masterclass, lezioni, film e spettacoli teatrali che coinvolgeranno il pubblico dal mattino alla sera in esperienze irripetibili. Tutti gli incontri saranno strutturati in modo interattivo, permettendo ai partecipanti di immergersi nell’universo teatrale dell’Odin Teatret attraverso discussioni, dimostrazioni pratiche e sessioni di domande e risposte, un approccio partecipativo necessario a favorire un coinvolgimento diretto con gli artisti.
Il ritorno a Milano dell’Odin Teatret per celebrare i primi 60 anni di vita di una compagnia che ha rivoluzionato la scena internazionale riscrivendone la storia e abolendo i confini del consueto. Un pensiero teatrale che è anche quello del suo grande maestro Eugenio Barba, a cui tutti coloro che si dedicano al teatro del tempo presente sono debitori.
Emilio Russo
I 60 ANNI DELL’ODIN TEATRET: LA PARTE SOMMERSA DELL’ICEBERG
Un anniversario di diamante costringe a guardare indietro e a interrogare i miei 65 anni nel teatro, cinque di preparazione e apprendistato a Oslo, Varsavia, Opole e Cheruthuruthy, e sessanta a Holstebro, una cittadina di provincia danese, con un nucleo di attori di varie nazionalità che si ostinano a unire i loro destini al mio in nome di una cultura di teatro di gruppo. Oggi distinguo chiaramente le quattro domande che mi hanno accompagnato come forze e guide al timone dell’Odin Teatret.
COME apprendere ad apprendere, come stimolare le diverse personalità degli attori, fondere le loro motivazioni segrete in un saper fare che dà vita alla realtà intensificata della finzione scenica.
DOVE radicare il mio operato, io che dall’Italia del Sud ero emigrato in Norvegia e ho incontrato il teatro dopo sette anni come saldatore, scaricatore di porto, marinaio e venditore ambulante di libri. Lì dove sei, lì è il centro.
PER CHI avevo scelto questo mestiere che consiste nel tessere relazioni. Non per un pubblico anonimo che compra un biglietto. Ma per uno spettatore a cui volevo bene, assente e lontano. Era a Jerzy Grotowski che ogni sera, per anni e anni, ho rivolto lo spettacolo dell’Odin Teatret tra pochi spettatori. Poi li rivolsi al popolo segreto dell’Odin.
PERCHÈ scelsi di fare teatro. Per difendermi dal razzismo che a quel tempo, subito dopo la Seconda guerra mondiale, colpiva in Europa gli italiani complici del nazismo. Il teatro fu un modo per nascondere la mia identità etnica e grazie a un mestiere conquistare il prestigio della differenza.
L’Odin Teatret appartiene alla tradizione dell’impossibile dei riformatori del teatro del Novecento: diversi tra di loro, ma con l’idea costante di negare la funzione del teatro infondendo altri valori che trascendono la dimensione ricreativa ed estetica.
Eugenio Barba
MARTEDÌ 12 MARZO
ore 19.00
Presentazione film “L’arte dell’impossibile” di Elsa Kvamme
Eugenio Barba and Odin Teatret’s Long Journey / L’Arte dell’Impossibile
Il lungo viaggio di Eugenio Barba e dell’Odin Teatret.
Un roadmovie con Eugenio Barba: ritorno alle origini dell’Odin Teatret
Un film di Elsa Kvamme
Sceneggiatura di Elsa Kvamme
Direttori della fotografia Tore Vollan, Nils-Petter Lotherington
Editato da Claire Coriat e Erik Thorvald Aster
Musica di Henning Sommerro
Prodotto da Alert Film
durata 66 minuti
sottotitoli in italiano
Nel 1964 l’immigrato italiano Eugenio Barba fondò l’Odin Teatret in un rifugio antiaereo a Oslo. Oggi l’Odin è una delle compagnie di teatro più famose a livello internazionale ed Eugenio Barba è considerato come uno dei più grandi innovatori del teatro moderno. Il loro palcoscenico è il mondo intero e hanno reso la piccola città danese di Holstebro famosa come la città della cultura. Ma da cosa è spinto Barba? Perché pensa ancora che la cultura sia qualcosa di importante per cui lottare? E qual è il significato di fare teatro nei tempi del capitalismo, dell’apatia, del terrore? Come ha ispirato un gruppo di attori a essere creativo per così tanto tempo? E come sarà per lui tornare in Norvegia dove tutto è cominciato?
Elsa Kvamme è stata un’attrice dell’Odin Teatret dal 1973 al 1975. Ha partecipato alle attività che l’Odin ha realizzato a Carpignano Salentino nel 1974 e ha preso parte nella performance Il libro delle danze. Negli anni successivi ha fondato a Oslo la Saltkompagniet, che ha diretto per sei anni, per poi trasferirsi a New York a frequentare una scuola di cinema. Si è fatta conoscere anche come artista di cabaret e cantautrice. Oggi è una regista cinematografica, ha realizzato il lungometraggio Fia! e i documentari A Streetcar to Auschwitz e The Doctors’ War.
Ingresso libero, prenotazione obbligatoria: https://www.teatromenotti.org/event/presentazione-del-filmlarte-dellimpossibile/
MERCOLEDÌ 13 MARZO
Ore 10.00
Masterclass con Tage Larsen
Tage Larsen, allontanandosi dagli elementi conosciuti dei suoi lavori, propone situazioni in cui i partecipanti potranno creare gesti e azioni individuali e collettive. Fondamentale la capacità di cambiare ritmo, intensità, forme e colori delle azioni, di saper ricevere gli impulsi degli altri e di ripeterne i gesti.
Tage Larsen è attore e regista dell’ensemble dell’Odin Teatret di Holstebro in Danimarca. Ha partecipato a tournee che lo hanno portato a recitare in tutto il mondo.
Ingresso libero, prenotazione obbligatoria: https://www.teatromenotti.org/event/masterclass/
Ore 20.00
AVE MARIA
La Morte si sente sola. Cerimonia per l’attrice María Cánepa
ODIN TEATRET
Con Julia Varley
Testo e regia Eugenio Barba
Assistente alla regia Pierangelo Pompa
Montaggio sonoro Jan Ferslev
Trecento scalini in pochi istanti.
Pelle di pietra sopra la mia testa.
I morti e le mosche trasparenti
che sono? Ed io che conto?
Forse la morte non porta via tutto
Questi versi del poeta italiano Antonio Verri riassumono lo spettacolo. L’attrice inglese Julia Varley evoca l’incontro e l’amicizia con l’attrice cilena María Cánepa. È la Morte a celebrare la fantasia creativa e la dedizione di María che seppe lasciare una traccia dopo la sua partenza.
LE ORIGINI DI AVE MARIA
Quando Julia Varley ha espresso il desiderio di fare uno spettacolo su María Cánepa mi ha trovato subito d’accordo. Avevo conosciuto María e suo marito Juan Cuevas nel 1988 durante la prima visita dell’Odin Teatret in Cile, e da questo incontro era nata un’amicizia profonda. Questo legame affettivo si nutriva anche delle comuni radici italiane, dell’esperienza dell’essere ambedue emigranti e della consapevolezza che il teatro era la nostra vera patria.
Confesso che avevo anche una domanda professionale, una curiosità che apparteneva al mestiere. Era una sfida, e consisteva nel voler evocare María attraverso uno spettacolo che fosse una cerimonia che esprimesse l’emotività della sua vita professionale e al tempo stesso il mistero dellamorte. Ho scelto Mr Peanut, il cui viso è una testa di morto, un personaggio già presente in altri spettacoli di Julia Varley. Volevo che questo personaggio si rinnovasse e incarnasse il mistero della trasformazione della vita in morte, mentre la voce di María risuonava nello spazio come il canto di un torrente tra mille farfalle.
Alla fin fine volevo aiutare la mia attrice a dichiarare il suo affetto a un’altra attrice riportandola in vita attraverso il teatro. Personalmente, io volevo pagare il mio debito di gratitudine verso María e suo marito Juan.
Eugenio Barba
María Cánepa – Biografia
La nota attrice cilena María Cánepa muore il 27 ottobre 2006 a Santiago affetta da Alzheimer. Nata il 1° novembre 1921 nel Nord Italia, a quattro anni segue i suoi genitori che emigrano in Cile. A scuola ha modo di mostrare il suo talento recitando e cantando. Affronta i suoi primi ruoli d’attrice al Teatro Experimental dell’Università del Cile e vi recita in più di 50 spettacoli, spesso come protagonista. Lavora allo stesso tempo come assistente sociale, fino a quando il suo primo marito, il regista Pedro Orthous, non la convince: “Ci sono molte buone assistenti sociali, ma poche buone attrici.” Desidera dei figli, ma non ne può avere, anche se per sei anni si sottopone a vari trattamenti. Nel 1971 María e suo marito Pedro fondano il Teatro del Nuevo Extremo che si presenta ai lavoratori delle poblaciones della periferia di Santiago. L’arrivo della dittatura militare nel 1973 li costringe a smettere. Alla morte del marito nel 1974, María è ingaggiata dalla compagnia teatrale dell’Università Cattolica. Tre anni dopo incontra Juan Cuevas, un attore di 30 anni più giovane di lei. Juan diventa il suo nuovo compagno. La madre di María, più che ottantenne, appoggia la coppia mentre molti amici, scandalizzati, voltano loro le spalle. Nel 1982 fonda il Teatro Q con Juan Cuevas, Héctor Noguera e José Pineda, e nel 1992 un centro culturale che porta il suo nome e prepara giovani dei quartieri poveri come animatori culturali. Riceve il Premio Nacional de las Artes nel 1999. A 78 anni, dopo vent’anni di convivenza, accetta di sposare Juan Cuevas che aveva chiesto più volte la sua mano. Adora cucinare e nel 2003 apre un ristorante italiano, La Cánepa. Il suo personaggio preferito era Laurencia in Fuenteovejuna, uno spettacolo del Teatro Municipal con più di cento attori. Era invece critica della sua Lady Macbeth, perché non le sembrava abbastanza appassionata. Pensava che il teatro dei giovani scarseggiasse di emozione, e che il distanziamento di Brecht corrispondeva a una frustata emotiva. L’ultimo coup de théâtre di María Cánepa avviene d’intesa con l’Oceano Pacifico. Durante il suo funerale, mentre suo marito e gli amici spargono le sue ceneri nel mare, un’onda si solleva e inzuppa tutti i presenti.
Julia Varley
L’illusione Il mio viso non si vede mai durante lo spettacolo Ave Maria. In buona parte dello spettacolo sono nascosta sotto la maschera di Mr Peanut, un teschio, e durante il resto sono coperta da un velo e un grande cappello nero. Rappresento la Morte. Non si deve vedere la mia pelle viva, mi spiega il regista. Gli spettatori non incontrano mai il mio sguardo e mi capita spesso di chiudere gli occhi, concentrandomi nello sforzo di orientarmi senza vedere. È uno spettacolo che mi sfinisce, eppure è animato da una necessità vitale. Che cosa resta di un’attrice quando non c’è più? La sua impronta nella storia dura solo il tempo dei suoi spettacoli? Come posso lottare contro l’oblio e mantenere in vita persone che hanno significato qualcosa per me, come per esempio María Cánepa? Nello spettacolo a un certo punto dico: “Può darsi che la figlia morta di quella donna sconosciuta abbia ritrovato una nuova vita. Io non lo so. Chi potrebbe saperlo? Forse è solo un’illusione!” Ogni volta che presento lo spettacolo ho l’illusione di trovare una risposta a queste mie domande.
María Cánepa
Conobbi María Cánepa durante una tournée dell’Odin Teatret in Cile nel 1988, al tempo della dittatura del generale Augusto Pinochet. Alcuni attori cileni ci avevano invitato approfittando di una nostra permanenza in Perù. Organizzarono il nostro spettacolo Talabot in una chiesa e ci ospitarono nelle loro case. Io abitavo al centro di Santiago, nell’appartamento di María e del suo giovane marito, il regista Juan Cuevas. Mangiavo con loro ogni giorno prima di andare al lavoro. Si prendevano cura di me. María era un’attrice del Teatro Nazionale Cileno, abituata a creare i suoi personaggi a partire da un testo. Era cattolica, ordinata, esile, delicata, emotiva, bionda, attrice dalla testa ai piedi: molto diversa da me. In Cile, fra il 1973 e il 1989, il teatro era un precario isolotto di libertà. La censura del regime non chiuse tutte le sale teatrali per evitare una reazione internazionale: in fondo uno spettacolo coinvolgeva poche persone. Il teatro non aveva la forza di combattere frontalmente la repressione, ma era in grado di garantire una cultura parallela come spazio di incontro, memoria e dialogo. María partecipava attivamente a queste attività, aprendo scuole, insegnando, fondando gruppi, dando spettacoli. Era già anziana quando la conobbi eppure tutto di lei mi faceva pensare a una bambina. La rividi molte volte da allora, in Cile e in Danimarca. Nei suoi ultimi anni, per avere sue notizie, mantenevo una corrispondenza con suo marito Juan.
Link d’acquisto: https://www.vivaticket.com/it/ticket/ave-maria/212307
GIOVEDÌ 14 MARZO
Ore 17. 00
“Testo, azione, relazioni” dimostrazione di lavoro/spettacolo con Tage Larsen e Julia Varley
Usando una scena dall’Otello di Shakespeare, Tage Larsen e Julia Varley costruiscono un dialogo fra Otello e Iago di fronte al pubblico presentando un processo basato sulla creazione ed elaborazione di azioni fisiche e vocali. La capacità di creare partiture fisiche e vocali è il risultato degli anni di training e spettacoli con l’Odin Teatret.
Il testo di Shakespeare è in inglese mentre le spiegazioni sono in italiano.
La passione di Tage per Shakespeare e il bisogno di trovare un ponte fra il vocabolario fisico dell’Odin Teatret e testo scritto, sono l’impulso per questa dimostrazione di lavoro. I due attori, attraverso improvvisazione e composizione, sviluppano una partitura dinamica fisica che diventa la base per il loro incontro. Riducono ed elaborano il materiale fisico in modo che la partitura delle azioni non interferisca con il senso della scena, ma contribuisca alla lettura, alla poesia e al fluire del testo.
Ingresso libero, prenotazione obbligatoria: https://www.teatromenotti.org/event/testo-azione-relazioni/
Ore 20. 00
Presentazione film “Il paese dove gli alberi volano” di Davide Barletti e Jacopo Quadri
Regia di Davide Barletti, Jacopo Quadri.
Un film con Eugenio Barba.
durata 77 minuti
UN’OPERA PARTECIPATIVA CHE COMUNICA SENZA RETORICA IL SENSO PROFONDO E LO SPIRITO CHE ANIMA CHI FA TEATRO
“A Holstebro, cittadina della Danimarca dove ha sede, l’Odin Teatret si prepara a festeggiare i 50 anni di attività. Per l’occasione il suo fondatore ed anima Eugenio Barba ha fatto arrivare da Kenia, Brasile, India, Bali ed Europa diverse compagnie teatrali formate in maggior parte da giovani.
Non è facile trasferire sullo schermo e trasmettere al pubblico di una sala cinematografica il senso profondo, lo spirito che anima chi fa teatro. L’operazione si rivela ancora più complessa se si tratta di cogliere l’essenza di una realtà come l’Odin Teatret che ha fatto della ricerca (quella vera non quella spacciata come tale da un numero sempre troppo elevato di teatranti) la propria ragione di vita e della passione nei confronti di quei due misteri che sono l’Amore e la Morte una modalità di comunicazione. Barletti e Quadri ci sono riusciti senza retorica, comunicando il senso della festa e non quello della celebrazione. È esattamente questo il significato che vediamo crescere nel corso del film mentre Eugenio Barba, dotato di una vitalità che si alimenta con l’amore per ciò che realizza, costruisce quello che definire spettacolo sarebbe riduttivo. Perché non si tratta qui di assemblare numeri di diversa provenienza ma di far interagire culture espressive e teatrali estremamente distanti ma di fatto unite dal bisogno di comunicare. C’è una scena che dà il senso della cura, dell’attenzione e della sensibilità di Barba e di chi collabora con lui. È quella della organizzazione della disposizione ai tavoli per i pasti: l’obiettivo è quello di ‘far stare bene’ le persone, di consentire loro di interagire senza che nessuno rimanga o si senta escluso. È quello che accade nel lavoro delle varie compagnie che vengono portate nelle scuole della cittadina perché incontrino i giovani danesi e le loro forme di espressione artistica. Così ragazzi kenioti abili danzatori si accostano per la prima volta alla danza classica e ragazzini di Bali insegnano a suonare i loro strumenti a percussione a bambini di una classe. Il tutto finisce con il convergere in una perfomance all’aperto in cui l’apparente caos della prova generale si trasforma in una perfetta fusione di anime e di corpi che si sono conosciuti e compresi. Sarà allora possibile che gli atletici ragazzi kenioti indossino il tutù e le danzatrici classiche vestano le loro gonne di paglia in uno scambio che è la sintesi del percorso di questo modo non di fare ma di essere teatro.”
Giancarlo Zapparoli
Ingresso libero, prenotazione obbligatoria: https://www.teatromenotti.org/event/presentazione-film-il-paese-dove-gli-alberi-volano/
VENERDÌ 15 MARZO
Ore 17.00
Presentazione film “La conquista della differenza” di Exe Christoffersen
A cura di Erik Exe Christoffersen
Testo e narrazione Eugenio Barba
Montaggio, riprese e grafica Chiara Crupi
Assistente alle riprese Pierangelo Pompa
Ricerca foto e video di repertorio Francesca Romana Rietti e Valentina Tibaldi
Restauro e rimasterizzazione digitale Claudio Coloberti
Produzione Odin Teatret Film, Holstebro, 2013
Il film ripercorre la storia dell’Odin Teatret dal 1964 ad oggi, attraverso immagini che ritraggono differenti spettacoli, situazioni di training nel corso degli anni. Eugenio Barba riflette inoltre su cosa il teatro abbia significato per lui e sulla storia dell’Odin Teatret come gruppo di persone che hanno conquistato la propria differenza.
“La “differenza” menzionata nel titolo allude alla specificità del metodo di lavoro e di vita dell’Odin: dal baratto culturale con le popolazioni che lo ospitano, alla scelta di esibirsi davanti a un pubblico limitato numericamente per mantenere una stretta interazione attore-spettatore.”
Simona Lomolino – Stratagemmi
Ingresso libero, prenotazione obbligatoria: https://www.teatromenotti.org/event/presentazione-film-la-conquista-della-differenza/
Ore 20.00
LA CASA DEL SORDO
CAPRICCIO SU GOYA
ODIN TEATRET
Produzione Masakini Theatre, Nordisk Teaterlaboratorium / Odin Teatret
Testo Else Marie Laukvik, Eugenio Barba
Regia Eugenio Barba
Scenografia Else Marie Laukvik, Rina Skeel
Consulente scenografia Jan de Neergaard
Con Else Marie Laukvik, Rina Skeel, Ulrik Skeel
Assistente alla regia Rina Skeel
Siamo a Bordeaux, nella casa di un sordo, Francisco Goya. È l’ultima notte della sua vita. La sua amante per più di trent’anni, la vivace Leocadia Zorilla, scatena la sua fantasia e i suoi ricordi. Francisco José de Goya (1746-1828) è considerato il più importante pittore e incisore spagnolo tra la fine del 18° e l’inizio del 19° secolo. Nel corso della sua lunga carriera fu un impegnato commentatore e cronista della sua epoca. Morì in esilio a Bordeaux, in Francia.
Eugenio Barba
UN CAPRICCIO TEATRALE
La casa del sordo – Capriccio su Goya è la trasposizione teatrale del genere artistico del capriccio applicata alla biografia e all’opera di Francisco Goya. La sua vita si svolse tra gli sconvolgimenti politici dell’Europa alla fine del 18° secolo, tra Età della Ragione e Romanticismo, Inquisizione e Rivoluzione Francese, erotismo, esilio e mutilazione fisica dovuta alla sordità totale che colpì Goya a 46 anni. Il capriccio, come genere artistico, si sviluppò nel XVI secolo in musica, architettura e pittura. Il compositore tedesco Michael Praetorius (1571-1621) lo definì “una specie di fantasia improvvisata che passa da un tema all’altro”. J. S. Bach (1685-1750) intitolò Capriccio un pezzo composto da varie sezioni liberamente accostate per esprimere la nostalgia per il fratello lontano. Particolarmente apprezzati furono i 24 Capricci di Niccolò Paganini che ispirarono Liszt, e quelli composti da Beethoven e Mendelssohn. In architettura il capriccio è “una follia agli occhi dell’osservatore”: un edificio stravagante, progettato più come espressione artistica che per scopi pratici, spesso deliberatamente costruito per sembrare in rovina. L’edificio non ha altro proposito che quello di essere un oggetto ornamentale, creato o commissionato per puro piacere. In pittura il termine viene attribuito a disegni fantasiosi, lontani dai temi predominanti. Artisti come Callot, Piranesi, Tiepolo, Watteau, Guardi e Goya hanno reso famoso questo modo di ritrarre la realtà. Nella pittura veneziana del Settecento il capriccio è l‘arte di comporre un paesaggio attraverso la libera combinazione di elementi architettonici reali e fantastici, di rovine dell’antichità e aspetti contemporanei. La casa del sordo è un capriccio teatrale su Goya: una varietà di temi che l’arte dell’attore trasforma in un flusso di decadenza fisica e vitalità creativa, avidità di prestigio, sperpero di denaro, egoismo, inventiva, passione e frivolezza. Un caleidoscopio di immagini, situazioni e pensieri che si dibattono nel tentativo di approssimarsi al mistero della Bellezza e della Vita la cui spietata verità cammina, deridendoli, sui morti.
Link per l’acquisto: https://www.teatromenotti.org/event/la-casa-del-sordo/
SABATO 16 MARZO
Ore 18:00
Incontro con Eugenio Barba Odin Teatret – 60 anni di teatro
Uno straordinario appuntamento con uno dei più grandi maestri internazionali della storia del teatro del Novecento.
Ingresso libero, prenotazione obbligatoria: https://www.teatromenotti.org/event/odin-teatret-60-anni-di-teatro/
ORE 20.00
LA CASA DEL SORDO
Link per l’acquisto: https://www.teatromenotti.org/event/la-casa-del-sordo-2/
DOMENICA 17 MARZO
Ore 11.00
Presentazione film “Zona Limite” di Stefano di Buduo
Regia Stefano Di Buduo
Interpreti Eugenio Barba
durata 63 minuti
Eugenio Barba è uno dei pochi grandi vecchi ribelli viventi del teatro mondiale che il XX secolo ha generato. Nella piccola cittadina danese Holstebro, sua seconda patria, realizza la Festuge, uno spettacolare progetto teatrale: cento cavalli provenienti da tutta Europa percorrono insieme la zona di confine della costa danese, irrompono in città, entrando persino nei locali della biblioteca.
Ore 16.30
LA CASA DEL SORDO
Link per l’acquisto: https://www.teatromenotti.org/event/la-casa-del-sordo-3/
STAGIONE 2023 | 2024
BIGLIETTERIA
PREZZI
- Intero – 32.00 € + 2.00 € prevendita
- Ridotto over 65/under 14 – 16.00 € + 1.50 € prevendita
- Link d’acquisto
TEATRO MENOTTI
Via Ciro Menotti 11, Milano – tel. 0282873611 – biglietteria@teatromenotti.org
ORARI BIGLIETTERIA
Dal lunedì al sabato dalle ore 14.00 alle ore 18.30, dalle 19.00 alle 20.00 solo nei giorni di spettacolo
Domenica ore 14.30 | 16.00 solo nei giorni di spettacolo
Con carta di credito su www.teatromenotti.org
ORARI SPETTACOLI
Dal martedì al sabato ore 20
Domenica ore 16.30 Lunedì riposo