Il 20 novembre 2024 al Teatro Gioiello di Torino: “DIOGGENE” con Stefano Fresi
Teatro Stabile d’Abruzzo, Stefano Francioni Produzioni, Argot Produzioni
presentano
STEFANO FRESI
in
DIOGGENE
scritto da Giacomo Battiato
regia GIACOMO BATTIATO
musiche Germano Mazzocchetti
scultore Oscar Aciar
decoratore Bartolomeo Gobbo
costumi Valentina Monticelli
light designer Marco Palmieri
foto Chiara Calabrò
20 NOVEMBRE 2024
TEATRO GIOIELLO
Lo spettacolo è diviso in tre parti (tre quadri) e ruota intorno a un unico personaggio, un attore famoso che si chiama Nemesio Rea.
Nel primo quadro, HISTORIA DE ODDI, BIFOLCHO, Nemesio interpreta un proprio testo, scritto in autentico volgare duecentesco. È la storia di un contadino toscano che ha partecipato alla tremendissima battaglia di Montaperti in cui Siena e Firenze si sono scontrate.
Nel secondo quadro, L’ATTORE E IL BUON DIO, troviamo Nemesio nel suo camerino, mentre si veste, apprestandosi ad andare in scena. Ma non è dello spettacolo che ci parla, bensì della appena avvenuta rottura violenta con la moglie, tra pianti, grida e insulti.
Nel terzo quadro, ER CANE DE VIA DER FOSSO D’A MAIJANA, troviamo Nemesio che vive felice in un bidone dell’immondizia. Ha lasciato tutto, la sua professione e la sua vecchia vita. Ha deciso, come il filosofo greco Diogene, di rifiutare ogni ambizione e possesso per essere libero di parlare del vero senso della vita.
Breve nota di regia
Stefano Fresi, Oddi, Nemesio Rea, Dioggene e io, Giacomo Battiato, siamo la stessa persona. Mettere in scena questo triplo monologo che ho scritto per Stefano è puro gaudio, per la sintonia e la reciproca stima che ci sono tra noi due. A ciò si aggiunge il piacere della sfida: tre lingue italiane diverse per ciascuno dei monologhi (volgare toscano, lingua corrente del nostro 21° secolo, romanesco), tre atmosfere, tre toni, tre stili. Epica e commedia, sberleffi e crudeltà.
In ognuno dei tre quadri, apparentemente così diversi tra loro, ci sono gli stessi temi che ruotano. La violenza dei maschi, l’umana stupidità, la guerra, il bisogno di bellezza e di amore.
Stefano Fresi è un gigante sulla scena. Accanto a lui, ho voluto che ci fosse un solo elemento scenografico, diverso nei tre quadri: un mostruoso spaventapasseri, un’armatura, un bidone dell’immondizia. Tre simboli (paura, morte, rifiuti) in uno spettacolo che, a dispetto della violenza, della rabbia, delle ansie e del dolore trattati, considero un appello alla meraviglia del mondo e della vita.
Giacomo Battiato
DIOGGENE
Monologo in tre quadri
di
Giacomo Battiato
Il destino di uomo di umili origini, divenuto attore famoso.
Un romano geniale e ridicolo, sublime e vigliacco.
Il suo nome: Nemesio Rea.
Lo incontriamo in tre momenti chiave della sua vita, i tre quadri dello spettacolo.
Nel primo quadro, Nemesio interpreta un testo che è stato fondamentale nel suo percorso di artista e di uomo. In giovinezza infatti ha concepito la HISTORIA DE ODDI, BIFOLCHO. Il tema: l’infanzia aggredita, la violenza, la bellezza, la donna, la guerra.
Nemesio ha scritto il testo in autentica lingua volgare e così ce lo recita. Veste infatti i panni di un contadino toscano della metà del tredicesimo secolo, Oddi, analfabeta e sensibilissimo, che racconta il cammino della propria vita che “fue assai strana, piena di sangue e di dimande”.
Subisce, nell’infanzia, la violenza del proprio padre. Con insensato accanimento, l’uomo picchia moglie e figli. Adolescente, Oddi fugge sulle montagne, cresce solo nella natura come un piccolo lupo ma non si libera dalla tortura dell’odio feroce che ha maturato contro il padre.
La sorte lo porta a vivere la giovinezza come fabbro ferraio da una grande signore senese sposato a una donna coltissima. Oddi scopre la bellezza della conoscenza, del sesso, dell’arte. Il suo avvicinarsi al riscatto dalla propria ignoranza e miseria vengono però bruscamente arrestati e spezzati dalla guerra. Scoppia infatti uno dei tanti, ferocissimi scontri fratricidi della storia d’Italia: Siena e Firenze, soltanto 5 anni dopo avere firmato un trattato di “pace eterna”, si affrontano con le armi. E il nostro Oddi finisce in battaglia, arruolato con Siena e pagato per uccidere.
Udiamo dalla sua bocca la cronaca della battaglia di Montaperti, vissuta in prima persona. Nel furore dei combattimenti, Oddi scorge, tra i nemici, una figura che riconosce: il suo odiato padre. Gli grida: “Vieni, Sozzo, so’ lo figliolo tuo. Son qui per liberare da te la terra!”
Mentre attorno a loro tutti si scannano, il padre torturatore e il figlio che sognava amore si affrontano. Il figlio lo uccide. Il padre “ morìo, invan cercando di rimetter ne lo ventre suo le budella che copiose ne erano escite e respiravan, rosse e nude, ne lo fango.”
In un solo giorno, ci racconta Oddi, 18.000 furono i morti “per inutile odio”. Oddi, gravemente ferito, è tra loro: “Io era morto ma— non proprio.” Viene trovato e salvato da “una giovine donna scapigliata e piagnente” che vagava tra i cadaveri. Sfiorando la morte, Oddi ha trovato l’amore.
Nel secondo quadro, L’ATTORE E IL BUON DIO, Nemesio Rea è al culmine del suo successo professionale. È un attore acclamato e ricco. Lo incontriamo nel suo camerino, mentre si veste, apprestandosi ad andare in scena. È la sera della “prima” di uno spettacolo a cui tiene enormemente, che dirige e interpreta. Lo ha rielaborato lui stesso da un classico: “Il Diavolo e il Buon Dio”, di Jean Paul Sartre. Il tema che sta a cuore a Nemesio è sempre quello dell’essere umano di fronte alla violenza: “Perché l’Uomo fa il Male? Perché il Bene è impossibile sulla terra? Perché il Potere incarna quasi sempre il Male?”
A dispetto della tragica seriosità dell’argomento dello spettacolo che sta per debuttare, questo quadro ha l’andamento e lo spirito della commedia. Involontaria comicità, povero Nemesio! Sì, perché non è dello spettacolo che ci parla ma della surreale visita della moglie che è venuta a trovarlo in camerino e se n’è appena andata.
Isabella, da nove anni moglie di Nemesio, una donna elegante, una matematica, è piombata da lui all’improvviso, lo ha coperto d’insulti e gli ha comunicato di avere deciso di lasciarlo. Un fulmine a ciel sereno, nel momento più sbagliato possibile. Nemesio è paralizzato:
“Cosa succede?” Isabella mi fissa e con voce pacata mi dice: “succede che è saltato il coperchio.” “Quale coperchio?” “E ho visto.” “Che hai visto?” “Ho capito.” “Che hai capito?”. Usando metafore pesanti e un turpiloquio al quale lui non era abituato, Isabella spiega al marito “che lei si è improvvisamente resa conto che nel nostro rapporto si era formata una muffa invisibile che, senza che lei se ne accorgesse, aveva corroso le pareti di casa. All’improvviso ha sentito l’odore e l’ha vista.”
Pateticamente Nemesio difende “la loro bella felicità” e minimizza i suoi insignificanti, eventuali tradimenti. È per questo che lei sta strepitando, perché ha scoperto un ennesimo piccolo tradimento? No. Non è questa “la merda” alla quale Isabella continua a riferirsi, no, è l’egoismo, l’ipocrisia, il narcisismo di Nemesio che lei all’improvviso ha visto nel loro accecante squallore. Lei si è resa conto che Nemesio è un “alessitimico di tipo 2”. Una malattia? Isabella gliela spiega: “Alessitimico significa non avere la minima consapevolezza dei propri sentimenti, non conoscerli, non saperli spiegare— E grida: un alessitimico di tipo due non ha sentimenti— e tu sei così, sei una merda alessitimica!”
Tra pianti, grida e insulti Nemesio, stupefatto, vestito a metà del suo costume di attore, subisce un crudele processo a come ha vissuto accanto a una donna, come se ne è servito, come non ha saputo dare nulla, “… nulla se non parole— parole, non emozioni, parole che, se non corrispondo a fatti -e non corrispondevano!- sono soltanto rumori, falsi e vuoti!”
Nemesio sembra implorare il nostro impossibile aiuto di spettatori mentre ci racconta, in una raffica di disperazione, battute e parolacce, recitando con due voci, la sua e quella di si sua moglie Isabella. Lei, che prima di fuggire ha sentenziato: “amare un alessitimico di tipo due è la rovina di una donna ed era stata la sua rovina. La rovina di molte donne, di troppe donne, sottolinea, perché gli uomini sono più o meno tutti alessitimici: sono usatori, egocentrici, infantili, egoisti, insensibili, bugiardi!”
Nel terzo quadro, DIOGGENE, ER CANE DE VIA DER FOSSO D’A MAIJANA, incontriamo Nemesio Rea un certo tempo dopo quella fatidica notte alla vigilia dello spettacolo, quando Isabella lo ha lasciato sbattendogli in faccia il suo egoismo, il suo narcisismo, la sua ipocrisia.
Nemesio ci racconta come era fuggito dal teatro e aveva percorso strade tortuose in una lunga notte tormentata. Ed è arrivato qui. Sì, Nemesio è ritornato nel quartiere di merda dov’era nato e dove suo padre, un alcolista violento, lo riempiva di botte e voleva impedirgli di studiare. È ritornato qui, alla periferia di Roma, alla Magliana. Ma da uomo libero. Ha smesso di fare l’attore, si è “sfamosizzato”, si è liberato di tutto e ha deciso di vivere in un bidone dell’immondizia. Si è anche liberato della forbita lingua italiana che lo aveva reso famoso e ha ripreso a parlare il dialetto romanesco della sua infanzia: “Ho seguito l’orme de quer granne greco, ch’un bel ggiorno s’infila in n’a’a botte in’a’a piazza der mercato d’Atene, e là vive p’esse libbero senza più legami a niente! Dioggene, se chiamava e, a causa d’a’a’ scelta sua, fu Dioggene er cane. Sì, perché da’a’ botte sua abbaiava ’a verità a l’ommini.”
Ora Nemesio è diventato Dioggene, libero di ragionare, parlare, dire tutto quello che pensa: “… me riempio ’a vita, d’a cosa più bella ch’ha l’omo, ’a libertà de parlà senza paura o vergogna, d’essese libberato de’e superflue insazziabbilità, d’esse ricco e felice sanza possedè ’n cazzo!”
In questo nuovo ruolo, Nemesio ci parla di molte cose che ci tormentano a cominciare dalla Stupidità. Sì, la Stupidità che invade le nostre vite, che dilaga alla velocità della luce, che ci governa, che ci sommerge in un’inondazione sotto la quale rischiamo tutti di scomparire.
E torna, Nemesio, sulla fatidica domanda: “Ahò, la ggente passa de cqua e se lamenta de vive in tempi bui e me domanna a me, er filosofo d’a’a Maijana, perché, perché ce sta in giro tanto male? È ’na domanna antica quanto er monno, io risponno, ma na spiegazzione ce l’ho. Er fatto è che semo dominati da l’asini… E ste bestie, pe’ comannà, hanno bisogno d’a stupidità de’ sudditi, per cui accade che er monno rischia de finì co’ l’asini feroci che comannano l’asini deboli. Ma così, mammamìa, finimo come ner dipinto de Bruegel -poveri ciechi guidati da ’n cieco- verso l’abisso— er futuro.”
Nemesio, nel suo vulcanico filosofare sul buio dei tempi, ci dà anche luce. Ci spiega come sia essenziale, per vivere bene, cercare dentro di sé la coscienza e prendersi cura di quella dei figli che crescono. Nel gran finale del monologo, Dioggene ci trascina nello spazio, in un visionario viaggio che ci insegna a guardare e amare dove siamo e cosa siamo. “Voi, amici de Dioggene, godete co’ me d’o stupore de rotà in questo spazio che se perde no’o spazio do’o spazio de ’na cosmica energia. Semo noi, ’nzieme a piante, animali e pietre e albe e ’nverni e primmavere e tramonti e autunni gialli su sta ’nfinitesissima pallina che ha le bellezze tutte, mari, cime, foreste, fiumi, laghi, campi e tutta ’na meravigliosa meraviglia de natura— E tante donne e tanti ommini anche— tutti qui che so’ capaci d’intelligenza e de scienza e pure -questo basta- de pietà e de amore!”
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TEATRO GIOIELLO
Via C. Colombo, 31, 10133 Torino
Info su www.teatrogioiellotorino.it e www.ticketone.it
mercoledì ore 21.00