Annunciate le traduttrici dall’arabo finaliste al Premio biennale Mario Lattes per la Traduzione
È dedicata alla letteratura in lingua araba tradotta in italiano la prima edizione del Premio biennale Mario Lattes per la Traduzione, promosso dalla Fondazione Bottari Lattes, in collaborazione con l’Associazione Castello di Perno.
Cinque sono le finaliste selezionate dalla Giuria stabile del Premio: Maria Avino, traduttrice di Morire è un mestiere difficile del siriano Khaled Khalifa (Bompiani, 2019); Samuela Pagani, traduttrice di Corriere di notte della libanese Hoda Barakat (La nave di Teseo, 2019); Nadia Rocchetti, traduttrice di Viaggio contro il tempo della libanese Emily Nasrallah (Jouvence, 2018); Monica Ruocco, traduttrice di Il suonatore di nuvole dell’iracheno Ali Bader (Argo, 2017); Barbara Teresi, traduttrice di Una piccola morte del saudita Mohamed Hasan Alwan (E/o, 2019).
La cerimonia premiazione si svolgerà sabato 18 luglio 2020 alle ore 18 nel giardino del Castello di Perno (Cn) nel cuore delle Langhe, Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco. In questa occasione l’orientalista Fabrizio Pennacchietti terrà la lectio magistralis L’arabo letterario moderno può dirsi una lingua “europea”?. L’appuntamento che decreterà la vincitrice tra le cinque finaliste in gara sarà condotto dalla giornalista e saggista Paola Caridi, studiosa di Medio Oriente e Nord Africa, e vedrà la partecipazione dei giurati del Premio: Anna Battaglia, Melita Cataldi, Mario Marchetti, lo stesso Fabrizio Pennacchietti, Antonietta Pastore (membri della Giuria stabile) e Isabella Camera d’Afflitto, Manuela E.B. Giolfo, Claudia Maria Tresso (membri della Giuria specialistica).
La cerimonia di premiazione è a ingresso libero con prenotazione obbligatoria fino a esaurimento posti e si svolgerà nel pieno rispetto delle normative di sicurezza per l’emergenza Covid-19 (inviare mail con nome e cognome a: book@fondazionebottarilattes.com). Potrà essere seguita in direttastreaming sulla pagina Facebook della Fondazione Bottari Lattes. In caso di pioggia, la cerimonia di premiazione si svolgerà all’auditorium della Fondazione Bottari Lattes (Monforte d’Alba, via Marconi 16).
Con il Premio Mario Lattes per la Traduzione la Fondazione Bottari Lattes pone l’attenzione sul fondamentale ruolo dei traduttori nella diffusione della letteratura e sull’impareggiabile contributo della traduzione nell’avvicinare popoli e culture differenti, abbattendo muri ideologici, creando ponti culturali e favorendo il dialogo. Con questa iniziativa la Fondazione intende promuovere la conoscenza di culture e autori meno noti al pubblico italiano e incoraggiare la traduzione in italiano delle loro opere letterarie più significative per qualità letteraria e profondità di contenuti, riflessioni, testimonianza. Il tutto nella piena consapevolezza che la traduzione non si risolve in una semplice trasposizione di parole da una lingua all’altra e nello spostamento di un segno linguistico da un codice all’altro, ma è una disciplina che sa trasferire pensieri e concezioni tra culture diverse, con le quali il traduttore instaura un profondo legame.
Le cinque finaliste
Maria Avino, traduttrice di Morire è un mestiere difficile di Khaled Khalifa (Bompiani, 2019), è stata selezionata dalla Giuria perché «il testo tradotto risulta molto scorrevole e non pone ostacoli a chi legge, anzi lo si potrebbe definire un page-turner. Si rileva una precisa attenzione agli aspetti culturali del contesto. Non si ricorre a note né per questi né per i pochi termini arabi conservati: tutto viene agilmente sciolto nel testo».
Samuela Pagani, traduttrice di Corriere di notte di Hoda Barakat (La nave di Teseo, 2019), è tra le finaliste perché «la sua traduzione, pur distinguendosi per alcune scelte linguistiche innovative, scorre con naturalezza, in un linguaggio chiaro e vivace che fa entrare senza sforzo il lettore nell’atmosfera peculiare di quest’opera. Il testo italiano offre una lettura coinvolgente, restituendo l’equilibrio stilistico dell’originale.»
Nadia Rocchetti, traduttrice di Viaggio contro il tempo di Emily Nasrallah (Jouvence, 2018), è stata scelta perché nel suo lavoro «la lettura scorre piana, equilibrata, con felici rese dei personaggi, pochi impedimenti e rare ambiguità. Quasi assenti le espressioni stereotipate o con connotazioni regionali. Il testo risulta avvincente».
Monica Ruocco, traduttrice di Il suonatore di nuvole di Ali Bader (Argo, 2017), è in finale per la traduzione «scorrevole, vivace, fresca, con scelte lessicali e registri linguistici plausibili e consoni all’attualità dell’argomento e dell’ambiente; particolarmente felice nel rendere l’ironia sottesa al resoconto del tipo di esistenza narrato».
Barbara Teresi, traduttrice di Una piccola morte del saudita Mohamed Hasan Alwan (E/o, 2019), è tra le finaliste perché «la traduzione scorre in modo armonioso, conducendoci attraverso la varietà dei registri, delle epoche, dei paesaggi umani e politici e per l’eleganza complessiva di una prosa capace di restituire le tonalità linguistiche del passato.»
Le giurie: stabile + specialistica
La Giuria stabile del Premio ha individuato le cinque opere finaliste valutando la qualità del lavoro di traduzione in romanzi di narrativa araba contemporanea editi in Italia tra il 2017 e il 2019 e concentrandosi sulla capacità della traduttrice o traduttore di saper rendere al meglio in italiano stile, linguaggi, atmosfere e elementi culturali presenti nell’originale.
Fanno parte della Giuria stabile i traduttori e i docenti: Anna Battaglia (ha insegnato Lingua francese all’Università di Torino e tradotto, tra le diverse opere, Oiseaux di Saint-John Perse), Melita Cataldi (è stata docente di Letteratura anglo-irlandese all’Università di Torino, ha tradotto tra gli altri, testi dall’antico irlandese, W.B. Yeats e poeti del Novecento come Hutchinson e Heaney), Mario Marchetti (traduttore di lungo corso dal francese e dall’inglese per le case editrici Einaudi e Bollati-Boringhieri, presidente del Premio Italo Calvino, autore di saggi e recensioni), Antonietta Pastore (scrittrice e traduttrice dal giapponese, a lei si deve la traduzione di numerose opere di Haruki Murakami e autori come Soseki Natsume, Kobo Abe, Yasushi Inoue) e Fabrizio Pennacchietti (orientalista, è stato docente di Filologia semitica all’Università Ca’ Foscari di Venezia e all’Università di Torino, è membro dell’Accademia delle Scienze di Torino).
Alla Giura stabile si unisce, per ogni edizione, una Giuria specialistica per la lingua oggetto del Premio, che valuterà la cinquina e decreterà il vincitore. Per la prima edizione i giurati esperti di lingua araba, sono: Isabella Camera d’Afflitto (professore ordinario di Letteratura araba moderna e contemporanea a La Sapienza Università di Roma e all’Università di Napoli L’Orientale), Manuela E.B. Giolfo (professore associato di Lingua e letteratura araba e docente di Traduzione editoriale di narrativa araba al corso di laurea magistrale in Traduzione specialistica e interpretariato di conferenza della Facoltà di Interpretariato e traduzione dell’Università IULM di Milano), Claudia Maria Tresso (professore associato di Lingua e letteratura araba al corso di laurea magistrale in Traduzione del Dipartimento di Lingue dell’Università di Torino).
La vincitrice riceverà un premio di 3.000 euro. Alle finaliste è riconosciuto un premio di 500 euro.
I sostenitori
Il Premio biennale Mario Lattes per la Traduzione è dedicato alla figura di un editore, pittore e scrittore che seppe confrontarsi con intellettuali di fama internazionale. È realizzato dalla Fondazione Bottari Lattes in collaborazione con l’Associazione Castello di Perno e il Comune di Monforte d’Alba,con il contributo di Fondazione CRC e Banca d’Alba, con il patrocinio dell’Unione di Comuni “Colline Di Langa e Del Barolo” e di S. Lattes & C. Editori.
Info: 011.19771755, 0173.7892412, book@fondazionebottarilattes.it, eventi@ fondazionebottarilattes.it
WEB fondazionebottarilattes.it | FB Fondazione Bottari Lattes | TW @BottariLattes | YT FondazioneBottariLattes
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Finalisti Premio Mario Lattes per la Traduzione 2020 – I edizione
Maria Avino – Traduttrice di Morire è un mestiere difficile, Khaled Khalifa (Bompiani, 2019)
Maria Avino insegna Lingua e letteratura araba all’Università degli Studi di Napoli L’Orientale, dove si è laureata e ha conseguito il dottorato di ricerca in “Vicino Oriente e Maghreb dall’avvento dell’Islam all’età contemporanea”. Ha iniziato a studiare arabo a Tripoli (Libia) dove è nata nel 1961. Ha effettuato soggiorni studio in diverse città arabe, in particolare a Damasco. I suoi principali campi di studio sono la divulgazione della letteratura occidentale nel mondo arabo durante il periodo noto come Nahḍa, il movimento di traduzione nei paesi arabi tra l’Ottocento e i primi decenni del Novecento, e il dibattito tra modernisti e conservatori, temi a cui ha dedicato la monografia intitolata L’Occidente nella cultura araba. Dal 1876 al 1935 (Jouvence, 2002) e numerosi articoli pubblicati in Italia e all’estero. Altro campo di ricerca è la letteratura di viaggio, in particolare il viaggio in Europa di intellettuali e ambasciatori arabi tra la fine del XVIII secolo e i primi decenni del XX secolo. Ha tradotto romanzi e raccolte di racconti di diversi autori arabi, tra cui Muhammad Shukri, ‘Abd al-Salam al-‘Ugiayli, ‘Abd al-Rahman Munif, ‘Aliya Mamduh, Ibrahim al-Kuni, Salwa Bakr, Alì al-Muqri, Raja Alem, Khaled Khalifa. Ha effettuato l’aggiornamento della Grammatica TeoricoPratica della Lingua araba di Laura Veccia Vaglier.
Motivazione
«Innanzitutto occorre dire che Morire è un mestiere difficile oltre che un bellissimo romanzo è anche un libro di grande importanza e significato che tutti, oggi, nella UE dovrebbero leggere. Non ci si farebbero più oziose domande sul perché tanti migranti siriani premano alle frontiere dell’Europa e tanto meno sul loro statuto (migranti economici, migranti politici, rifugiati, profughi, richiedenti asilo o che altro) e forse si esiterebbe a delegare la loro gestione alla Turchia del “sultano” Erdogan. Ma veniamo alla qualità della traduzione, giudicata dalla sua resa in lingua italiana. Sicuramente il testo tradotto risulta molto scorrevole e non pone ostacoli a chi legge, anzi lo si potrebbe definire un page-turner. Si rivela una precisa attenzione agli aspetti culturali del contesto. Non si ricorre a note né per questi né per i pochi termini arabi utilizzati: tutto viene agilmente sciolto nel testo.»
Bulbul ha appena perso il padre, che giace in un ospedale di Damasco. L’ultima promessa che gli ha fatto è stata di seppellirlo accanto alla sorella nel suo paese natale, vicino ad Aleppo. Solo quattrocento chilometri, ma a separare le due città c’è un solco più profondo: Damasco infatti è sotto il controllo del regime di Assad, mentre Aleppo è nelle mani dei ribelli. Viaggiare dall’una all’altra con una salma si rivela presto un compito molto arduo, che Bulbul condivide con il fratello Huseyn e la sorella Fatima. Tra controlli, sbarramenti e minacce, i tre ricostruiscono insieme il ricordo del padre e il loro legame, un appiglio di umanità tra i marosi della guerra. Con questa odissea dolorosa e surreale Khaled Khalifa racconta di nuovo il presente siriano e ci mostra senza sconti la quotidianità di chi vive tra le macerie.
Khaled Khalifa è nato ad Aleppo (Siria) nel 1964. Tra i fondatori della rivista letteraria Alif, è autore di quattro romanzi tra cui L’elogio dell’odio. Vive a Damasco ed è autore di sceneggiature di film e serie tv e. Non ci sono coltelli nelle cucine di questa città ha vinto la Naguib Mahfouz Medal per la Letteratura nel 2013 ed è stato finalista dell’International Prize for Arabic Fiction nel 2014.
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Samuela Pagani – Traduttrice di Corriere di notte, Hoda Barakat (La nave di Teseo, 2019)
Samuela Pagani, nata a Roma nel 1965, è docente di Lingua e letteratura araba all’Università del Salento, dove insegna dal 2005. Si laurea in Islamistica all’Università La Sapienza nel 1994 e ottiene il dottorato di ricerca all’Istituto Universitario Orientale di Napoli nel 2000. Trascorre periodi di ricerca a Damasco, Il Cairo e Parigi. Fra il 2000 e il 2013 insegna Storia dei Paesi islamici e Lingua e letteratura araba in diverse università italiane (Università degli studi di Trieste; Università La Sapienza di Roma; Università L’Orientale di Napoli). Nel 2004 è docente di traduzione arabo-italiano alla Scuola Europea di Traduzione Letteraria (SETL). Nel 2011 e nel 2013 è visiting professor a Parigi all’Ecole des Hautes Études en Science Sociales – Institut d’Études de l’Islam et des Sociétés du Monde Musulman (IISMM) e all’Ecole Pratique des Hautes Etudes (EPHE), Section de Sciences Religieuses. Ha pubblicato studi, edizioni critiche e traduzioni sulla mistica islamica e la letteratura araba nel periodo classico e moderno. Ha organizzato convegni e seminari internazionali, stabilendo collaborazioni con istituzioni estere, come l’Institut Français d’Archéologie Orientale del Cairo e il Center for Islamic Theology dell’università di Tübingen.
Motivazione
«Nel tradurre Corriere di notte Samuela Pagani usa un linguaggio chiaro e vivace, mai troppo convenzionale né troppo vicino al parlato, che fa entrare senza sforzo il lettore nell’atmosfera peculiare di quest’opera. In ognuna delle lettere che compongono il libro, la personalità di chi la scrive − un personaggio, uomo o donna, esposto alla brutalità e all’incertezza, isolato, indifeso nella propria angoscia − emerge con naturalezza, senza che lo stile della traduttrice si imponga o appiattisca i diversi capitoli in un’unica narrazione. Samuela Pagani usa infatti un linguaggio e un ritmo adeguati alla descrizione di ogni realtà, diversa per ognuno degli autori delle lettere, anche se accomunata dal rimpianto. Evita l’uso di espressioni stereotipate e pur distinguendosi per alcune scelte linguistiche innovative, non perde mai il senso del limite e dell’equilibrio stilistico. Il passaggio dall’arabo all’italiano avviene con naturalezza, senza sforzo apparente, il testo scorre, offrendo una lettura coinvolgente.»
In viaggio dal mondo arabo verso l’Occidente, per trovare asilo e un nuovo inizio: uomini e donne che incrociano i loro destini per fuggire dal passato e si scontrano con l’illusione del futuro e la paura del fallimento. Corriere di notte ha la forma di un romanzo epistolare atipico che raccoglie l’ultima lettera scritta da ciascun personaggio: un clandestino albanese scrive alla donna amata; un’amante aspetta il suo uomo in una camera d’albergo; un ex carceriere in fuga si rivolge alla sua famiglia; una donna racconta al fratello che la loro madre è morta; un giovane omosessuale si dichiara al padre. Queste confessioni, disperate e appassionanti, sono il tentativo di tenere insieme i pezzi di una storia corale e identitaria, che racconta le contraddizioni della società araba, la violenza del potere, la fuga, il miraggio condiviso di un luogo in cui è ancora possibile vivere. Proprio sul punto di perdersi, le lettere incontrano un’improvvisa deviazione nel loro cammino, un destino inatteso in cui l’urgenza della parola riuscirà a risuonare anche nel paesaggio di un mondo in dissoluzione, dove tutto potrebbe crollare eppure non cessa di chiamare forte la vita, l’amore.
Hoda Barakat, è nata a Beirut (Libano) e vive a Parigi dal 1989. Scrittrice, giornalista e traduttrice, è stata insignita del titolo di Cavaliere dell’Ordine delle arti e delle lettere nel 2002 e dell’Ordine nazionale al merito nel 2008. È stata finalista al Man Booker Prize nel 2015 e ha ricevuto il Premio Al Owais nel 2018. È autrice di numerosi romanzi, come L’uomo che arava le acque, che ha vinto la Naguib Mahfouz Medal per la Letteratura, e Corriere di notte, che ha vinto il Premio Internazionale per la Letteratura araba.
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Nadia Rocchetti – Traduttrice di Viaggio contro il tempo, Emily Nasrallah (Jouvence, 2018)
Nadia Rocchetti, dopo la laurea magistrale in Lingue, culture e comunicazione internazionale (2010) all’Università Statale degli Studi di Milano, consegue l’abilitazione all’insegnamento all’Università Ca’ Foscari di Venezia (2013). Approfondisce la conoscenza del mondo arabo attraverso soggiorni in Siria, Libano, Egitto e Algeria, per ragioni professionali, di interesse socioculturale e di ricerca. Vincitrice del Concorso Docenti 2018 per la classe AL24-Arabo, dal 2010 si dedica all’insegnamento della lingua, letteratura e civiltà araba, attraverso attività che le permettono di acquisire un’ampia esperienza nella mediazione linguistica e interculturale e soprattutto nella didattica. Dal 2019 è docente alla Scuola Superiore per Mediatori Linguistici CIELS di Milano. Nel 2018 per Jouvence, nella collana Barzakh diretta da J. Guardi, pubblica la traduzione di Viaggio contro il tempo di Emily Nasrallah, prima e a oggi unica opera dell’autrice libanese divenuta accessibile ai lettori italiani. Affiliata individuale all’ALTE (Association of Language Testers in Europe), è socia fondatrice e vicepresidente del Centro Studi ILA per la certificazione della lingua e la promozione delle culture arabe, che contribuisce allo sviluppo della prima Certificazione di Lingua Araba Standard disponibile in Italia dal 2016. In a questo ambito, le pubblicazioni realizzate con H. Benchina riguardano le competenze orali dei livelli A1, A2 e B1 del QCER (Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue).
Motivazione
«La struttura narrativa del romanzo Viaggio contro il tempo ̶ 187 brevi capitoli, frasi concise, una sola voce narrante, rari flashback ̶ può aver contribuito alla bella traduzione di Nadia Rocchetti. La lettura scorre piana, equilibrata, con felici rese dei personaggi, pochi impedimenti e rare ambiguità. Quasi assenti le espressioni stereotipate o con connotazioni regionali. Alcune locuzioni paiono forse troppo colte quando vengono pronunciate dal personaggio principale, di semplice cultura contadina. Resta il dubbio sulla scelta dei puntini di sospensione: a volte tre, altre volte solamente due. Il testo risulta avvincente e rende credibile la scelta morale del protagonista che decide di ritornare in Libano, la sua patria, malgrado l’inasprirsi della guerra civile.»
Un’anziana coppia, che vive da sempre in un paesino del sud del Libano, riceve una lettera inaspettata. Si tratta di un messaggio da parte dei loro figli emigrati in Canada vent’anni prima, che li invitano a trascorrere sei mesi nella loro terra d’elezione. Dopo una lunga e vana attesa del ritorno dei loro cari, Radwan e Rayya decidono di intraprendere quel “viaggio contro il tempo e lo scorrere dei loro giorni”. Ma lo scoppio della guerra civile conferirà nuove dimensioni e significati alla rivoluzione ormai in corso nelle loro esistenze.
Emily Nasrallah (1931-2018), libanese, è stata una delle autrici più note e affermate del mondo arabo. Insegnante, giornalista, sostenitrice dei diritti delle donne e scrittrice prolifica, è legata profondamente alle vicende spesso drammatiche che hanno interessato la nazione libanese, da cui non si è mai separata. Inserita dalla critica nel movimento delle Decentriste di Beirut, ha ricevuto numerosi riconoscimenti letterari, tra cui il premio Goethe-Medaille 2017.
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Monica Ruocco – Traduttrice de Il suonatore di nuvole, Ali Bader (Argo, 2017)
Monica Ruocco è professore ordinario di Lingua e letteratura araba del Dipartimento Asia, Africa e Mediterraneo dell’Università degli Studi di Napoli L’Orientale, dove si è laureata e ha conseguito il titolo di dottore di ricerca. Presidente dell’European Association for the Modern Arabic Literature (EURAMAL) e della Società Italiana di studi sul Medio Oriente (SeSaMO), i suoi interessi spaziano dalla produzione narrativa a quella teatrale dei paesi del Vicino Oriente e del Maghreb. I suoi saggi sono pubblicati in Italia e all’estero. I lavori più recenti si sono concentrati sul teatro arabo in esilio, sulla letteratura odeporica in età contemporanea e sulle avanguardie nella narrativa araba. Tra le sue pubblicazioni: Storia del teatro arabo dalla nahda a oggi (Carocci, 2010), Comprendere e parlare arabo (con Fatima Sai, Hoepli, 2018). Ha tradotto dall’arabo opere di narrativa e drammaturgia di autori come Saadallah Wannus, Murid al-Barghuthi, Adania Shibli, Muhammad Barrada, ‘Abd ar-Rahman Munif, Yousef al-Mohaimeed, Iman Humaydan Younes, Wihad Soleiman, Ali Bader.
Motivazione
«Grandi i meriti di questa traduzione: scorrevole, vivace, fresca, con scelte lessicali e registri linguistici plausibili e consoni all’attualità dell’argomento e dell’ambiente; particolarmente felice nel rendere l’ironia sottesa al resoconto di questo tipo di esistenza e che forse allude a una tipologia diffusa di problematicità di relazione con l’Occidente e in particolare con la sfera del femminile.»
Il suonatore di nuvole è il primo romanzo di Ali Bader tradotto in italiano. Nabil fa il violoncellista a Baghdad, in uno scenario poco favorevole alla musica sinfonica: vede il mondo esterno attraverso le lenti della musica e della sua passione per la cultura occidentale ma è incompreso, preso di mira dai salafiti e sente di essere un corpo estraneo al proprio Paese. Dopo un violento scontro con alcuni estremisti, lascia l’Iraq ed emigra verso il Belgio, dove è costretto a scontrarsi con una realtà, europea e occidentale, diversa da come l’aveva immaginata. Stretto tra estremisti della destra belga da una parte e salafiti musulmani dall’altra, Nabil dovrà fare i conti con la realtà e con un’identità di araboeuropeo tutta da costruire. A Bruxelles Nabil incontra Fanny, ragazza bella e disinibita che sembra quasi avere il compito di introdurlo nella modernità e affrancarlo dalle angosce che gli hanno impedito di fare il musicista. Ma il passato di Nabil non è rimasto a Baghdad: anche a Bruxelles i fantasmi vigilano sulla moralità delle fanciulle, controllano il rispetto del digiuno nel mese di Ramadan, raccolgono fondi per costruire nuove moschee e, soprattutto, riducono in frantumi i violoncelli, strumenti degli infedeli.
Ali Bader, nato nel 1964 a Baghdad, poco dopo è costretto a lasciare l’Iraq con la famiglia (il padre, ha raccontato, era comunista). Tornato in Iraq, dopo la laurea in Filosofia e in Letteratura francese all’Università di Baghdad, comincia a scrivere romanzi e a recitare per il teatro e il cinema. Nel 2001 il suo libro d’esordio Papa Sartre (pubblicato in arabo a Beirut, tradotto nel 2009 in inglese da AUC Press e nel 2014 in francese da Seuil) vince il Premio nazionale per la Letteratura di Baghdad e il Premio tunisino alla Letteratura Abu Qassim al-Shaabi, ma a causa di una aspra campagna stampa nei suoi confronti, è costretto a lasciare l’Iraq. Nel 2009 e 2010 i suoi romanzi ملوك الرمال e حارس التبغ (non tradotti in italiano) entrano nella longlist dell’IPAF e il secondo viene tradotto sia in inglese (The tobacco keeper, Bloomsbury) sia in francese (Vies et morts de Kamal Medhat, Seuil). Vive a Bruxelles, dove lavora come giornalista, commentatore politico e romanziere.
Sottolinea la giuria: «Alla domanda per quale motivo continui a scrivere in arabo anche se da anni vive in occidente, Bader afferma che l’arabo rimarrà per sempre la sua lingua madre. Una lingua sacra che dovrebbe essere esclusa da un uso letterario, eppure, egli fa notare, ci sono, nella sola Baghdad, decine di migliaia di manoscritti antichi, di letteratura erotica in lingua araba! L’Islam non è solo religione. Esiste una letteratura secolare, storica e tradizionale. Bader dimostra di conoscere molto bene l’Italia, la sua storia e la sua cultura, e da sempre si occupa della traduzione di autori italiani in arabo (Boccaccio, Moravia, Calvino…).»
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Barbara Teresi – Traduttrice di Una piccola morte, Mohamed Hasan Alwan (E/o, 2019)
Barbara Teresi è laureata in Lingue e letterature straniere (arabo e tedesco). Dal 2005 al 2011 ha vissuto in Egitto, al Cairo, dove ha seguito diversi corsi di lingua e letteratura araba e lavorato come mediatore linguistico al Consolato d’Italia al Cairo e come docente di lingua italiana per stranieri all’Istituto Italiano di Cultura.
Dal 2009 collabora con diverse case editrici italiane come consulente editoriale e traduttrice letteraria freelance. Nel 2019 la casa editrice E/o ha vinto il Premio Sharjah per la Traduzione Turjuman grazie alla traduzione dall’arabo di Barbara Teresi del romanzo Una piccola morte.
Motivazione
«La traduzione italiana scorre in modo armonioso, conducendoci attraverso la varietà dei registri, delle epoche, dei paesaggi umani e politici. Si rilevano anacronismi, bilanciati comunque dall’eleganza complessiva di una prosa, capace di restituire tonalità linguistiche del passato.»
Tradotto in più di dieci Paesi, Una piccola morte è la biografia romanzata Ibn ‘Arabi (Murcia, 1165 – Damasco, 1240), uno dei padri del sufismo, la corrente mistica dell’Islam, in cui la spiritualità del protagonista va di pari passo con la sua realtà materiale e fisica. È un romanzo storico, d’avventura, di viaggio e d’amore, che restituisce un’immagine del santo sufi ripulita dall’alone di leggenda: Ibn ‘Arabi, uomo in carne e ossa, che si sposa e divorzia, che piange e ride, che viaggia alla ricerca del senso della vita. Il titolo si riferisce a un suo detto: “L’amore è una piccola morte”. Mohamed Hasan Alwan conduce il lettore in un’epoca lontana, a cavallo tra il XII e il XIII secolo, ricostruendo con dovizia di particolari la vita del “sommo maestro, uno dei più grandi sheikh sufi di tutti i tempi, filosofo, mistico e poeta la cui opera ha influenzato molti intellettuali e mistici tanto in Oriente quanto in Occidente (secondo alcuni studiosi avrebbe influenzato, seppur indirettamente, anche Dante Alighieri e San Giovanni della Croce).
Mohamed Hasan Alwan, nato a Riad nel 1979 (Arabia Saudita), è romanziere e saggista. Ha conseguito un dottorato di ricerca in Marketing internazionale alla Carleton University in Canada, dove oggi vive. Considerato tra i giovani autori più promettenti nel panorama della narrativa araba contemporanea, nel 2015 ha vinto il Prix de la littérature arabe dell’Institut du monde arabe di Parigi. Nel 2017 con Una piccola morte ha vinto l’International Prize for Arabic Fiction, il più prestigioso premio letterario dedicato alla letteratura di lingua araba. In merito al romanzo, la Giuria sottolinea: «In questo romanzo, il lungo viaggio del manoscritto che ne sarebbe all’origine, dall’Azerbaigian fino a Beirut, fa da contrappunto alla vicenda principale, con brevissimi capitoli di grande abilità narrativa che trascinano con sé tutta la lunga storia dell’oriente islamico. Dal XIII secolo si arriva fino al 2012, a Beirut, dove una studiosa francese acquisisce il manoscritto e, si intuisce, ne trarrà il libro che stiamo leggendo. Convertitasi all’Islam grazie a Ibn ‘Arabi, argomento della sua tesi di dottorato alla Sorbona, essa di fatto con la conversione rinsalda il suo cristianesimo, assimilando il maestro sufi a Gesù, nel segno di una profonda conoscenza dei testi, in una unione di fede in cui lei si trova perfettamente a suo agio. È questo personaggio marginale, su cui il cerchio si chiude, che ci aiuta nel suo calmo sincretismo intellettuale a delineare la cifra del romanzo: l’autore del romanzo, la sua vicenda tra Islam e occidente, la scelta di scrivere su una figura dell’Islam scevra da ogni deriva integralista, da ogni fanatismo, di evocare una fede in Dio nutrita anche di relativismo antidogmatico, si riverberano in questa sua vicenda e dove l’insegnamento di Ibn ‘Arabi ha dato i suoi frutti, dove realtà in conflitto trovano un punto di equilibrio pacato. Questo romanzo si impone proprio per la possibilità di riconciliazione nell’universalità che contiene.»
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